Camminata dal parco della Pellerina all’area della ex ThyssenKrupp/Ilva: uno specchio distorto

Invitandovi alla lettura e alla diffusione di questo resoconto della camminata svoltasi il 16 giugno scorso, cogliamo l’occasione per informarvi dell’assemblea circoscrizionale sul tema del “nuovo ospedale alla Pellerina” che si terrà lunedì 28 ottobre alle ore 18,30 presso il Teatro Provvidenza in via Asinari di Bernezzo 34/a. Le istituzioni dicono di volere il nuovo ospedale all’interno del parco: vi invitiamo a essere presenti numeros* per dimostrare attraverso la partecipazione democratica e un confronto costruttivo la contrarietà a questa ipotesi.
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C’è un retta grigia, un segmento d’asfalto tratteggiato pieno di veicoli sfreccianti in qua e in là (corso Regina Margherita), che divide una grande area tra i quartieri Parella e Lucento a Torino. Un’area talmente estesa che ha richiesto 4 ore di tempo per essere percorsa e spiegata in passeggiata. Guardi la parte nord, quella oltre la retta grigia, e ne rimani turbato, ammiri la parte sud, una volta varcata la retta, e il turbamento si placa. E quindi ti domandi: cos’è che è andato storto a nord di quella retta grigia e rumorosa? Perché l’impressione è quella di trovarsi davanti a uno specchio distorto. E ancora ti chiedi, siamo proprio sicuri che una retta divida in maniera così netta inferno e paradiso?

Siamo una trentina di persone a porci queste domande in una bella domenica di inizio estate, quasi tutti abitanti della zona. Felici di esserci trovati di fianco alla cascina Marchesa, immersi nel verde e di iniziare la nostra passeggiata all’ombra dei gelsi, desiderosi di ascoltare un racconto ricco di particolari sul parco della Pellerina e sull’ex area industriale. Ma i dettagli del racconto oggi non riguardano gli aspetti bucolici del parco, la sua bellezza e la sua biodiversità. Perché se è vero che l’area verde più estesa di Torino (837.000 mq) ha tanto da offrire sotto questi aspetti, è pur vero che mostra anche alcuni elementi che richiedono delle riflessioni. E il primo di questi elementi in effetti ci appare non appena voltiamo lo sguardo verso la ex cascina, un parcheggio pieno di auto, indicato da Franca Elise, rappresentante dello storico comitato in Difesa della Pellerina, che ci guiderà nella prima parte della passeggiata.


Questa parte a nord della Dora da cui partiamo, la meno antropizzata, dal 2009 è stata intitolata alle Vittime del rogo della ThyssenKrupp del 6 dicembre 2007. La parte a sud è invece intitolata a Mario Carrara, docente universitario che si rifiutò di prestare il giuramento di fedeltà al regime fascista. In questa zona di Torino, fino alla fine del 1800, c’erano campi, giardini e orti attraversati da canali per irrigare, che prendevano l’acqua dalla Dora, e la zona era ricca di cascine. La cascina Marchesa è tra le poche non abbattute.


CASCINA MARCHESA
È un tipico esempio di cascina piemontese del 1600, con villa padronale e zona rustica, che fu abitata da contadini fino alla fine degli anni ’80 del secolo scorso. Dopo alcuni anni di abbandono, una occupazione sgomberata dopo quattro anni e alcuni progetti mai decollati (Coldiretti e Circoscrizione), nel 2010 la cascina fu assegnata in concessione dal Comune alla società sportiva Turin Marathon, che si occupò della sua ristrutturazione e fece della zona rustica il quartier generale della società e un luogo per attività sportive e di tempo libero. La villa padronale invece ospita un albergo, un ristorante e un bar, gestiti dal 2018 da alcuni imprenditori. La ristrutturazione però si è portata via decine di metri quadri di terreno vergine antistante l’ingresso del ristorante per via della realizzazione di una pavimentazione di pietre cementate: una comodità fornita ai clienti che garantisce loro un buon numero di posti auto, dimenticando però che all’interno di un parco pubblico c’è una costante presenza di bambini, passeggiatori e sportivi, e che un buon numero di posti auto a disposizione c’è già a poche decine di metri, in corso Regina.


LA CASETTA DEL CUSTODE
Proseguendo lungo il viale dei gelsi, appena prima del ponte sulla Dora, ci imbattiamo in una cancellata, dietro la quale spunta una casetta misteriosa che si vede appena, immersa nella fitta vegetazione che nel tempo ha riconquistato lo spazio antropizzato attorno all’abitazione. Della storia della casa non si sa molto. È piuttosto recente e, da chi frequenta il parco, viene chiamata “casetta del custode” o “del giardiniere”, per le funzioni svolte dalla persona che la abitava fino a cinque o sei anni fa. Da allora, a parte una striscia di cortile che costeggia il lato sinistro della casa, dal 2021 data in concessione a Casazaky (una associazione che si occupa di gatti), l’edificio è abbandonato. E’ un elemento che stona con il contesto che lo circonda ed è davvero un peccato che sia stato lasciato da tempo al degrado. Sarebbe auspicabile che il Comune la utilizzasse, ad esempio, per ospitare un museo o attività legate alla natura. Ma oltre al rammarico c’è la preoccupazione legata al fatto che troppe volte abbiamo visto luoghi abbandonati dall’amministrazione comunale e lasciati andare a sé stessi, la cui “riqualificazione” è stata poi affidata a privati (il pratone Parella – salvato solo grazie all’impegno di cittadini – e i progetti imminenti che riguardano il Giardino Artiglieri di Montagna e il Parco del Meisino, solo per citare alcuni casi). Il timore è che la casetta possa essere destinata a funzioni non idonee al parco, magari abbattendola e ricostruendola estendendone perfino la superficie, sottraendo altro terreno naturale al parco. Pensiamo sia davvero utile monitorare la situazione visti i precedenti in città.



EX CASETTA NOLEGGIO BICI

Attraversato il ponte e percorso metà viale dei Tigli imbocchiamo il sentiero a destra che ci porterà alla piscina, all’inizio del quale si trova un casotto di legno. Finestre rotte e sbarrate in modo precario, all’interno sedie, scatoloni, damigiane di plastica e rifiuti. Il legno marcito non regge più alle intemperie. Ecco quanto ci troviamo di fronte. Un altro punto lasciato all’incuria e pericoloso, in una delle aree del parco maggiormente frequentate. Il Comune dal 2016 ha rinunciato al noleggio delle biciclette, per cui il casotto era stato costruito all’inizio degli anni 2000. Da quella data è stato dimenticato. Oltretutto salta agli occhi un’immagine paradossale che sa tanto di beffa: sul retro del casotto un cartellone, bello lindo e apposto da poco tempo, avvisa che i recenti interventi di riforestazione nel parco sono stati finanziati con i fondi europei Pon Metro. Intendiamoci, noi siamo ben felici che il Comune stia procedendo con la piantumazione di nuovi alberi, allo stesso tempo però questo contrasto stridente tra fondi europei e casotto fatiscente ci pone di fronte al fatto che un comune come quello di Torino in tutti questi anni non abbia trovato fondi, di importo modesto, al fine di evitare che la costruzione in legno si riducesse così. E’ una riflessione che meriterebbe un’analisi molto più approfondita sulla capacità e programmazione di spesa dei comuni italiani per il bene pubblico.



IL VASCONE, EX PISCINA DEI POVERI

Ci soffermiamo davanti all’affollata area dei giochi d’acqua inaugurati da poco. Sono stati realizzati tra il 2023 e 2024 dove prima c’era la c.d. “piscina dei poveri”, liberamente usufruibile, profonda circa un metro, sempre presa d’assalto da bimbi e famiglie dagli anni ’50 agli anni ’70. Da quando il vascone non venne più utilizzato come piscina ha avuto diverse funzioni (concerti, ricovero per i cavalli, accoglienza notturna in inverno per i senza fissa dimora).

I giochi d’acqua sono aperti tutto il giorno, da giugno a settembre, l’acqua che viene utilizzata è quella dell’acquedotto, che per le norme igienico sanitarie non è ovviamente possibile recuperare. L’intera zona giochi è circondata da 25 lampioni che dall’imbrunire rimangono accesi tutta la notte, quando l’area non è ovviamente utilizzata. Per creare spazi ombreggiati sono stati inoltre messi a dimora una ventina di alberi di non grandi dimensioni.

Ora, al di là dell’aspetto ludico e rispettando il diritto dei bambini di poter usufruire di un’area ristoratrice gratuita in estate, ci chiediamo però se lo spreco di grandi quantità di acqua potabile sia educativo, in special modo per le nuove generazioni, in un’epoca dove gli indicatori scientifici mostrano un futuro pieno di insidie relativamente alla disponibilità idrica. Ma la nostra considerazione, pur nella consapevolezza di venire etichettati come cittadini iper critici, va oltre. Per impiantare i nuovi giochi d’acqua il vascone di cemento è stato riempito di terra, una soluzione tramite la quale gli è stata data una parvenza di verde: in pratica è stato parzialmente trasformato in un “giardino su soletta”. Ci chiediamo se non fosse stato meglio, sempre tenendo in considerazione il rapporto costi-benefici, depavimentarlo per ricrerare suolo naturale nel tempo e poterci nel mentre piantumare alberi che possano avere a disposizione un vero terreno profondo (e non pochi cm di terra) per mettere radici e che quindi possano svilupparsi nel modo migliore e più sicuro, favorendone anche la loro resa in termine di servizi ecosistemici.


LA PISCINA

Facciamo tappa anche alla piscina pubblica di fronte all’ex vascone, costruita negli anni ‘50, ristrutturata e riaperta nel 2023, ma che nell’ultimo decennio era rimasta chiusa per ben 5 anni. Sul lato di fronte a noi incombe lo scheletro di una costruzione molto ampia, che avrebbe dovuto sostituire il precedente spazio bar. Di proprietà comunale, come tutta la piscina, l’area fu data in concessione ma i lavori si fermarono dal 2012, interrotti per difficoltà economiche. La costruzione tra l’altro si è estesa rispetto al perimentro precedente (e per niente!) fagocitando un ulteriore pezzetto di verde (sempre a proposito di consumo di suolo! E nel parco!). La struttura precaria costituì un serio problema nel periodo in cui il vascone era adibito ad accogliere i senzatetto: chi non riusciva a entrare nel ricovero si rifugiava qui dentro, finché si arrivò alla tragedia: un ragazzo africano fu trovato senza vita, ucciso dal freddo e dall’indifferenza. Al momento non si hanno notizie su quando questa parte della piscina verrà messa in sicurezza e recuperata.




PONTICELLI IN DISUSO
Proseguendo e lasciandoci alle spalle la piscina incorriamo in altri elementi lasciati ammalorare, due ponticelli, di cui uno visibilmente pericoloso, con assi in legno rovinate e chiodi che spuntano, e che nessuno ha mai rimesso a posto da anni, attorno al quale spesso giocano i bambini. Era uno dei ponti posti sopra la serie di vasche che consentivano il passaggio di acqua dalla Dora alla “piscina dei poveri”, vasche nel tempo fortunatamente rimosse ristabilendo zone prative.



LA CENTRALE IDROELETTRICA (MINI-HYDRO)

Arriviamo così all’ultima tappa della camminata all’interno del parco: la centrale idroelettrica che sfrutta il dislivello della traversa, creata tra il 2015 e il 2017 nel punto in cui la Dora si avvicina a corso Appio Claudio. Impressiona il confronto con l’assetto precedente dell’area, prima tutta pianeggiante. La collina creata, sopra la quale ci siamo fermati qualche minuto, è tutta terra riportata che ricopre l’opera di presa, gli enormi tubi e il locale centrale con la turbina. Dal 2018 proprietà e gestione della centrale sono della Green City AG di Monaco di Baviera che ha acquisito la torinese Energetica, la quale si era occupata dei lavori (costati circa 4 milioni di euro) e aveva ottenuto la concessione dell’area fino al 2040. Viene ricordato che proprio qui sulla sponda della traversa, fino a prima dei lavori era presente un pilone che indicava il livello raggiunto dall’acqua del fiume nella grande alluvione del 1901, devastante come quella da noi conosciuta del 2000. Una data, quella del 1901 che era scolpita su pietra ma che forse faremmo bene tutti a mantenere scolpita nella nostra memoria, perché eventi naturali estremi simili sono ricorrenti nel tempo, anche a lunga distanza. Il che tra l’altro ci ricorda che la Pellerina è individuata dal vigente P.R.G. in parte in “classe IIIa1 idrogeomorfologica di idoneità urbanistica”, definita come area inondabile per la piena di riferimento e in cui la pericolosità di esondazione (della Dora Riparia) è moderata e in parte in classe IIIa idrogeomorfologica di idoneità urbanistica”, definita come area inondabile per la piena di riferimento e in cui la pericolosità di esondazione (della Dora Riparia) è elevata: un “dettaglio” questo, che verrà ripreso nuovamente nel prosieguo della camminata.



IL COMPLESSO AREA BONAFOUS

Cambiamo zona e con essa cambia anche la nostra guida: è infatti il presidente del Circolo L’aquilone di Legambiente, Armando Monticone, a illustrarci la seconda metà della camminata. E’ giunto il momento di oltrepassare quella “famosa” retta grigia che in cuor nostro già sapevamo ci avrebbe preannunciato un panorama differente. Il nostro stato d’animo cambia senza volere, ben consapevoli che le storture viste finora in mezzo al verde sono nulla rispetto allo scempio ambientale, umano e morale, presente in mezzo ad altri due lembi di terra verde, che per quanto tentino in maniera commovente di tinteggiare di natura il paesaggio, non cancellano le tinte fosche e putride di un passato industriale che lascia segni profondi e un’eredità che ammorba superficie e falda. Dal ponte militare ciclo pedonale su corso Regina abbiamo sulla destra una prima vista degli stabilimenti dell’ex Thyssen e della loro imponenza.



GLI STABILIMENTI, IL RAMO SECCO DEL FIUME, LA CABINA DELL’OSSIGENO
Attraversato il ponte ci appare in tutta la sua spettralità il complesso completo dei vecchi stabilimenti industriali dell’area Bonafous, ex Thyssen ed ex Ilva, che un tempo erano un unico stabilimento. Oggi c’è solo un muretto che li divide, ma suolo e falda inquinati li accomunano. La parte più grande, quasi due terzi dell’area, è quella della ex Ilva che si affaccia sul lato opposto di corso Regina, non distante da via Pianezza. Questi impianti, sorti all’inizio degli anni ’60, facevano parte con le sezioni Vitali, Valdocco e Nole, del complesso siderurgico della Fiat – Ferriere.


Nella parte del complesso a noi visibile percorrendo la stradina che lo costeggia di lato, avvenivano le fasi della laminazione a freddo e del decapaggio delle lamiere; in seguito si sviluppò anche l’impianto per acciai speciali inox.

Da questa prospettiva si vede molto bene quello che da tempo è ormai un ramo secco del fiume: la scarpata formata dalla Dora Riparia che arriva fino a via Pianezza, fiume che fu deviato di direzione perdendo un’ansa. Tutto questo avveniva nei primi anni ’30 del secolo scorso, lo sbancamento dell’alveo della Dora era infatti dovuto alla necessità di reperire aree industriali in zone ricche d’acqua.


Risulta pertanto ben evidente che anche la conca degli stabilimenti e della zona industriale si trova su un’area esondabile, dato questo, che ci riporta alla memoria le immagini dell’alluvione del 2000 con l’acqua del fiume all’interno degli stabilimenti ThyssenKrupp. A metà della scarpata sorgeva la cabina dell’ossigeno, vicino a una piccola centrale termica per le necessità di vapore e acqua calda per il decapaggio. La cabina per l’invio di ossigeno riforniva gli impianti degli acciai speciali, del gruppo laminazione a caldo dell’area Nole e del gruppo fonderie dell’area Vitali. Il tutto era movimentato da un apposito impianto ad area compressa, quindi sotto pressione.

L’acciaio si fa con ferro, ghisa, ossigeno e metalli legati ai vari cicli di produzione, il tenore di ossigeno oscilla quasi sempre tra il 4 e l’8%.



L’AREA DEL MAGLIO

Proseguendo a distanza lungo il muro perimetrale degli stabilimenti, sulla destra ci ritroviamo sulla spianata del maglio, dove oggi troviamo alcune piccole industrie e un supermercato che, come si diceva poc’anzi, sorgono su un’area esondabile della vecchia ansa della Dora; siamo sul lato ex Ilva, alle spalle dell’ex Thyssen.

La spianata del maglio in terra rossa era caratterizzata da grandi masse di materiali ferrosi portati fino a qui dalla ferrovia interna che serviva tutto il gruppo siderurgico.

L’impianto del maglio, la CADIFER di Ernesto Castano (ex giocatore della Juventus), serviva per conglomerare il rottame metallico in cubi che venivano rimandati alle sezioni altoforni e fonderie; l’impianto lavorava soprattutto di notte con notevole disturbo della popolazione residente.


L’AREA INDUSTRIALE OGGI
Come se l’ex area industriale non fosse già abbastanza angosciante di per sé, percorrendo la strada verso il fondo degli ex stabilimenti notiamo sulla sinistra la presenza di 3 impianti sportivi “fantasma” (completi di collegamenti elettrici e dell’acqua), costruiti con gli oneri di urbanizzazione dell’area delle piccole industrie e mai utilizzati: rimangono lì come semplici gittate di cemento abbandonate dove la natura tenta di riprendersi i suoi spazi. Se da un lato la folta presenza di alberi e arbusti mitiga lo squallore di opere realizzate per niente, resta il profondo sconforto per aver sacrificato e cementificato una porzione di suolo comunale inutilmente.


Questi impianti facevano parte di un progetto della Giunta Fassino in cui si ipotizzava che l’area Bonafous sarebbe stata tagliata da un passaggio fino a corso Regina, con la parte sinistra destinata a parco e quella destra a trasformazioni di vario tipo, inclusa la costruzione di edifici abitativi. Il progetto naufragò per varie ragioni, un po’ perché il mercato è fermo, ma altre fonti riportano di rinunce dovute ai conti fatti in merito al costo delle bonifiche.

Un problema, quello relativo alla bonifica dell’area, che continua più che mai a essere una minaccia per l’ambiente e la salute, considerata la presenza di cromo esavalente (composto altamente cancerogeno) nella falda e quella di metalli pesanti e idrocarburi nel suolo. Le ultime rilevazioni svolte in tempi recenti certificavano valori di cromo esavalente superiori ai 400 microgrammi/litro rispetto al limite di legge di 5 microgrammi/litro (!). Inutile aggiungere che il tutto finisce periodicamente nella Dora. A oggi, dopo 17 lunghi anni in cui in questo luogo putrido nessuno è intervenuto, il Comune ha presentato una delibera per un cambio di destinazione d’uso dell’area e la futura creazione di una parte di zona verde. La procedura rispetto alla bonifica sarebba quella di creare un sarcofago di cemento nel sottosuolo per isolare le parti altamente inquinate (non una vera bonifica quindi ma una messa in sicurezza).

Da semplici cittadini nauseati da anni di silenzio e inerzia, che hanno ancor più contribuito alla tossicità di questi luoghi, ci chiediamo se pianificare un “parco su soletta di cemento” sia la soluzione più appropriata. Da vendersi magari come compensazione, vista la programmata cementificazione di una fetta del parco di fronte per la costruzione del nuovo ospedale. Giudicate voi.

Ma siccome certe situazioni sembrano non toccare mai il fondo, la proprietà attuale degli stabilimenti ha oltretutto pensato bene di impugnare la delibera comunale facendo ricorso al TAR. Resta l’unica nota positiva: ora la faccenda si è smossa. Ci impegneremo a seguirla e diffonderne gli sviluppi.


 IL CASTELLO E IL CANALE CERONDA
Attraversiamo ora il parco del Castello di Lucento (il castello si erge in alto sopra il parco) e con la nuova passerella ciclo-pedonale ci immettiamo nella vecchia passerella che collega Lucento con il Parco della Pellerina. Questo tratto di camminata relativamente breve è in realtà denso di spunti storici affascinanti che coprono un arco temporale lunghissimo, partendo proprio dal castello, che fu costruito durante il XIV secolo dai Beccuti, famiglia dell’aristocrazia urbana torinese di allora. Ha avuto parecchi sviluppi nell’arco dei secoli quindi ora è poco riconoscibile come castello, ma all’interno c’è ancora un tracciato di muro merlato.

Fu la prima residenza sabauda perché Emanuele Filiberto venne qui riprendendo possesso del Ducato di Savoia dopo la pace di Cateau-Cambrésis del 1559. Nell’area fece creare un imponente parco cintato: una metà (verso la Dora) dedicato alla caccia e un’altra metà (oltre l’attuale via Pianezza) utilizzato come campagna agricola (lo stesso modello che, su una scala più grande, suo nipote applicò a Venaria Reale). A partire dal ‘700 l’edificio diventò poi filatoio da seta, il più grande di Torino. Ci lavoravano solo le donne perché la classe operaia in Piemonte è nata al femminile, in passato gli uomini facevano i contadini.


Questi aneddoti ci vengono raccontati mentre sostiamo sul tratto iniziale della “vecchia passerella” che, oltre a essere un collegamento fisico tra Lucento e la Pellerina, collega anche idealmente il periodo dell’Unità d’Italia a quello post-bellico dell’industrializzazione. Proprio qui sotto difatti è tuttora ben visibile il vecchio tracciato della ferrovia che univa questi stabilimenti ai siti produttivi del complesso Fiat Ferriere tramite un tunnel, esistente ancora oggi, che arriva fino in corso Potenza.


A pochi metri da noi, sopra il tracciato ferroviario, c’è il vecchio peso Fiat dove il carico dei camion veniva pesato e poi conferito alla spianata del maglio per la compattazione in cubi di rottame metallico, per poi procedere alla fase di cottura dell’acciaio.


Tornando però a quella che finora è stata chiamata “vecchia passerella”, scopriamo che essa era in realtà il ponte-canale su cui passava l’acqua del canale Ceronda, fatto costruire nel 1869 con stanziamenti che il Governo italiano aveva concesso alla città di Torino come risarcimento per lo spostamento della capitale. Il canale era sotterraneo, portava acqua fin qui da oltre la Stura, a nord di Torino, e da qui veniva diramato in due parti: una andava verso Parella passando appunto sopra la Dora, al fine di alimentare le fabbriche che sarebbero sorte in zona San Donato/Martinetto, l’altra invece correva verso il Po a nord della Dora, alimentando altre aziende che ne avrebbero usufruito. La parte nord di Torino è stata infatti la prima zona industriale della città (Officine Savigliano, ecc), in quanto la zona industriale intensa metalmeccanica dell’area sud è sorta solo agli inizi del ‘900.

Pertanto la passerella che stiamo oggi attraversando a piedi fu in realtà un’opera importantissima per lo sviluppo industriale dell’epoca, grazie alla forza motrice dell’acqua derivante dal canale Ceronda che serviva ad esempio per la lavorazione della conceria Fiorio a San Donato, ma anche della birreria Metzger.


A poche decine di metri dal peso Fiat è invece visibile l’ex Istituto Zooprofilattico dell’Università di Torino. Oggi è chiuso e in stato di abbandono. Ha funzionato fino agli anni ’60. Fu occupato per un certo periodo a cui seguì uno sgombero. Sul sito del demanio è ancora in vendita.

I VASCONI E GLI SCARICHI
Ci dirigiamo quindi verso corso Regina seguendo la Dora controcorrente. Tra la fitta vegetazione delle sue sponde si intravede il secondo lato corto degli stabilimenti, lo percorriamo seguendolo con lo sguardo fin quando giungiamo all’altezza della zona dei vasconi. Questi manufatti in cemento armato funzionarono fino a quando l’ex Ilva rimase in funzione (1992), dopodiché furono demoliti in quanto rappresentavano un costo aggiuntivo per le attività di lavorazione. Il loro scopo era quello di raccogliere le acque acide del decapaggio affinché venissero poi conferite ad adeguati impianti di trattamento. La buona abitudine si perse con l’avvento delle lavorazioni H24, per cui i reflui in eccesso del decapaggio venivano sversati direttamente in Dora o nel terreno al di sotto degli stabilimenti e da lì inevitabilmente nelle falde superficiali sotterranee.

È un “peccato” che la vegetazione alta oggi non ci consenta di vedere alcuni scarichi che sversavano direttamente in Dora; sono passati quasi 20 anni dalla chiusura dell’impianto e uno di essi mostra ancora evidenti tracce di colore rosso. Se all’inizio della camminata ci siamo chiesti cosa fosse andato storto, questa immagine raccontata, da cui oggi la natura vuole forse benevolmente risparmiarci, è senza dubbio una delle risposte.

CIPPO COMMEMORATIVO
Arriviamo così, attraversato il corso Regina, al cippo commemorativo dei 7 operai morti nel rogo della linea 5 della Thyssen, avvenuto il 6 dicembre 2007, per gravi incurie legate alla manutenzione degli impianti.


 IL “GHIAIONE”, RICOLLOCAZIONE OSPEDALI
Siamo arrivati alla fine della nostra camminata. E’ questa l’area del parco attualmente incriminata che oggi è sulla bocca di tanti, quella di cui si parla dal 2022, perché è qui che dovrebbero sorgere i nuovi ospedali Maria Vittoria e Amedeo di Savoia. L’area di 59.000 mq in questione è denominata volgarmente “ghiaione”, è sterrata e permeabile, ma se lasciata a sé stessa in poco tempo diverrebbe inerbita e naturale come lo è già parzialmente in questa stagione dell’anno. Il che tra l’altro non desterebbe troppo stupore visto che sul Piano regolatore della città è chiaramente denominata Area Verde!

Il progetto dell’ospedale invece la cementificherebbe completamente (alla faccia delle promesse elettorali legate allo “stop al consumo di suolo”!) rendendola impermeabile; l’acqua piovana quindi non filtrerebbe più andandosi a riversare su marciapiedi, strade, rete fognaria. E questo non è proprio un dettaglio da niente. Abbiamo visto e documentato che quest’estate gli abbondanti millimetri di pioggia caduti nello spazio di poco tempo, per ben tre volte hanno causato l’allagamento dei corsi perimetrali e ingorghi del traffico.

A detta dell’amministrazione questa dovrebbe essere la superficie che verrà utilizzata, senza toccare l’area del parco vero e proprio ma nelle ultime ipotesi del Comune si parla già di 76.000 mq. Ipotesi che però non comprendono i servizi accessori: dove verranno collocati quindi i parcheggi, la centrale termica, i servizi per le ambulanze? Tutti elementi che a oggi sono tutt’altro che chiari, pertanto è improbabile che venga utilizzata solo quest’area.

Ma le criticità legate al progetto non si fermano qui. C’è ad esempio il tema legato all’aumento del rumore e del traffico, vista la presenza di corsi a grande scorrimento che circondano l’area: corso Regina, corso Lecce e corso Appio Claudio. Ci sono problematiche acustiche, derivate anche dalla centrale Aem presente al di là di corso Appio Claudio (problematiche che dovranno quindi prevedere la realizzazione di misure di contenimento del rumore). Ci sono poi problemi di tipo idraulico perché il “ghiaione” resta comunque un’area esondabile (le date 1901 e 2000 come abbiamo visto un significato lo hanno, non sono solo numeri). Verrebbero inoltre abbattuti alberi, anche se l’amministrazione sostiene di no. Ma di alberi a rischio qui ce ne sono eccome, sono più di 200 gli alberi di grandi dimensioni presenti tra il doppio filare che perimetra la zona e quelli presenti all’interno dell’area. Gli alberi, come il suolo, svolgono importanti funzioni ecosistemiche che ci aiutano a sopravvivere in un ambiente malsano.

In sostanza il progetto del nuovo ospedale è stato, come ormai è purtroppo prassi, calato dall’alto. Un triangolo tra Comune di Torino, Regione e Inail, che prevede la vendita del “ghiaione”, un incasso da parte del Comune e la cementificazione di un’ennesima area Verde in città. Pensato dagli amministratori e comunicato ai cittadini, ignorando le manifestazioni di dissenso che ci sono state in questi due anni.

A questa riflessione amara ci aggiungiamo due considerazioni finali: la prima è la natura anacronistica di tale scelta, laddove l’urgenza della nostra epoca è quella di azzerare il consumo di suolo, andando dunque a utilizzare aree già impermeabilizzate in passato per la costruzione di nuovi edifici, qualsiasi sia la loro natura. La seconda considerazione riguarda un finanziamento di quasi 50 milioni di euro che nel 2009 sarebbe servito per la realizzazione del nuovo Amedeo di Savoia, nella stessa area dove sorge ora. Progetto che avrebbe integrato il Maria Vittoria all’interno dell’area, senza andare quindi a consumare una fetta di parco! Di questo progetto si sono perse le tracce, come del finanziamento.

Da parte nostra seguiremo certamente le iniziative di Assemblea Pellerina: no ospedale nel parco, che da tempo si occupa della questione. Invitiamo chi abbia interesse a seguire il gruppo sulla pagina Facebook Comitato Difesa del Parco della Pellerina.


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