Lo scorso 3 novembre una trentina di cittadini hanno partecipato a una “passeggiata urbanistica” nel quartiere Bertolla.
Le “passeggiate urbanistiche” organizzate da ‘Un Altro Piano per Torino’ sono un viaggio nel tempo: percorsi lungo le molte speculazioni edilizie avvenute a Torino nel passato lontano o recente. I promotori, insieme ai residenti dei quartieri, fanno rivivere nella memoria borghi, prati e boschi cancellati da colate di cemento già avvenute o da cantieri attivi o imminenti.
Un Altro Piano per Torino cerca, in questo ed altri modi, di contrastare le nuove
devastazioni che si teme saranno consentite dal Piano (De)regolatore in corso di gestazione da parte dalla Giunta in carica, e in particolare dall’assessore all’Urbanistica Paolo Mazzoleni, pluri-indagato a Milano per abusi edilizi. La libertà di edificare qualunque cosa ovunque è ciò cui si mira, in attesa di conoscere cosa ne sarà del decreto SalvaMilano che trasformerebbe l’Italia nel Far West del calcestruzzo
Il quartiere Bertolla, a seguito di una variante del PRG del 2010, è stato trasformato da borgata periferica ancora artigiana e agreste in un ammasso disordinato di condomini, RSA e terreni incolti e dissestati dalle ruspe e recintati da transenne, già destinati a ulteriori edificazioni.
Durante la passeggiata del 3 novembre abbiamo camminato anche sulla pista ciclabile che costeggia il canale derivatore che fu dell’Azienda Elettrica Metropolitana (AEM).
La costruzione degli argini artificiali del Po in questo tratto risale ai primi anni Cinquanta. Nel 1952 fu costruita la Diga del Pascolo, che servì anche a creare il canale derivatore per la produzione di energia idroelettrica. A valle della centrale idroelettrica, ora di IREN ENERGIA, il canale corre stretto e rettilineo verso San Mauro, tra l’argine e la riva dell’isolone artificiale di Bertolla. L’isolone ospita una garzaia (colonia di aironi cenerini) che comprendeva in passato diverse centinaia di nidi: purtroppo è stato deforestato a più riprese tra il 2019 e il 2023, anche a titolo di “riqualificazione naturalistica” a compensazione della menzionata speculazione edilizia nell’omonimo quartiere. Ciò è avvenuto con il benestare e anzi il coordinamento dell’Ente di Gestione delle Aree Protette del Po Piemontese che dovrebbe tutelare quest’area e invece dal 2020 l’ha concessa a pascolo a una ditta privata. Le dimensioni della seconda garzaia europea in ambito urbano si sono perciò molto ridotte.

Mentre osservavamo, attraverso gli alberi e la vegetazione dell’argine lungo il quale corre la ciclabile, la sponda nuda dell’isolone in mezzo al canale, abbiamo ascoltato la storia della Zona di Protezione Speciale (ZPS) del Meisino, di cui l’isolone fa parte, e del progetto del Parco dello Sport e dell’Educazione Ambientale i cui cantieri stanno già pesantemente impattando su tale riserva naturalistica.
Alle nostre spalle, subito dietro la ciclabile, si estendeva tetra un’altra zona ampiamente deforestata, che attende la prossima cementificazione: la costruzione di nuovi edifici residenziali, in un’area peraltro a rischio idrogeologico elevato, come il Meisino.
Nostalgia, rabbia, desolazione, erano i nostri sentimenti al termine della rassegna delle alterazioni al nostro territorio, alle quali non immaginavamo che se ne sarebbe aggiunta un’altra poco tempo dopo.
Pochi giorni prima di Natale, un gruppo di noi è stato intervistato da un giornalista che ha voluto incontrarci nello stesso luogo. Che nel frattempo aveva subito una nuova devastazione: anche l’argine dove ci eravamo soffermati è stato completamente denudato, tutti gli alberi abbattuti.
Mentre ci trovavamo sul posto a osservare la riva, è sopraggiunto un tecnico dell’AIPO (Agenzia Interregionale del Fiume Po), che ha difeso l’operato del suo Ente, responsabile dei tagli, dicendo che erano stati richiesti da IREN ENERGIA e che comunque un regio decreto obbligherebbe l’Ente preposto ad abbattere tutti gli alberi presenti sugli argini. Questo perché, in caso di piena, gli alberi potrebbero essere sradicati e ostacolare il flusso delle acque, mettendo in pericolo gli abitanti delle case nelle vicinanze dell’argine. Ci ha indicato un paio di punti in cui l’argine era stato eroso e necessitava di ricostruzione, che secondo lui non sarebbe stata possibile senza rimuovere gli alberi. Tutti gli alberi lungo l’argine, ci siamo chiesti?
Siamo sul margine della Zona di Protezione Speciale IT1110070 “Meisino (confluenza Po-Stura)” e dovrebbe quindi valere la prescrizione dell’art. 23 comma 1 lettera c) numero 6 delle Misure di Conservazione per la Tutela della Rete Natura 2000 (Allegato E al D.G.R. n. 55-7222 del 12/7/2023), che per quanto attiene ai siti con ambienti delle acque correnti prescrive che “in corrispondenza di argini artificiali, di difese di sponde, di dighe in terra, di opere di presa o derivazione e di altre opere idrauliche o di bonifica è sempre consentito il taglio di singole piante che possono recare danno alla loro funzionalità”.
Di singole piante, non di tutta la vegetazione (secondo quanto previsto ai numeri 1, 2 e 4 della lettera c del comma 2 dell’art. 23).
Il 12 febbraio, senza che ci sia stata una piena del fiume e in assenza di precipitazioni, l’argine denudato è crollato. La pista ciclabile ora non è più agibile. Per l’esattezza, è stata chiusa dopo la segnalazione di un cittadino, ma domenica 22 era aperta senza che la riva sia stata messa in sicurezza. Lunedì 23 la viabilità era di nuovo impedita, ma senza alcuna segnaletica).
Ora, ci risulta che il Regio Decreto 523 del 1904 (Testo Unico sulle Opere Idrauliche), all’art. 96 che richiama l’art. 168 della legge 20 marzo 1865, allegato F (norme di altri secoli, adeguate a epoche in cui la cementificazione diffusa era ancora lontana dal verificarsi) NON prescrive di abbattere gli alberi sugli argini, ma di non piantarne. E la distinzione non è sottile. Si vietano, in un’Italia ancora prevalentemente agricola e frammentata in piccoli poderi, le “piantagioni” sugli argini, così come si proibisce “il pascolo e la permanenza dei bestiami sui ripari, sugli argini e loro dipendenze, nonché sulle sponde, scarpe e banchine dei pubblici canali e loro
accessori”. (Forse sarebbe vietato, quindi, anche il pascolo sull’isolone?) Simultaneamente però si vieta anche “Lo sradicamento o l’abbruciamento dei ceppi degli alberi che sostengono le ripe dei fiumi e dei torrenti per una distanza orizzontale non minore di nove metri dalla linea a cui arrivano le acque ordinarie.”
Quindi la questione è complessa. Ciò che emerge è in primo luogo come l’azione umana sul territorio abbia sempre effetti imprevisti, talora positivi, spesso negativi. In conseguenza della costruzione della Diga del Pascolo si è creato un bacino a lento scorrimento che ha attratto una ricca avifauna acquatica, ragion per cui il Meisino è diventato un hotspot ornitologico e l’area è stata inserita nel Parco Naturale del Po Piemontese ed è stata designata Zona di Protezione Speciale della Rete Natura 2000. Le opere idrauliche che hanno prodotto questi effetti avevano tutt’altre finalità: la rinaturalizzazione di quest’area alla confluenza del Po e della Stura è stato un loro inatteso esito collaterale, che ha allietato studiosi e ambientalisti, ma che infastidisce tuttora i soggetti che dalle trasformazioni territoriali vogliono trarre soltanto benefici economici. Per costoro, il fatto che l’area sia soggetta a tutele è un imbarazzo. La gestione e la manutenzione della diga e del canale rappresentano costi che IREN ENERGIA ha interesse a ridurre al minimo, quindi meno vegetazione c’è, meglio è. L’amministrazione torinese ritiene che il Meisino, sinora frequentato da amanti della natura, senza nemmeno un chiosco che venda gelati e patatine, debba essere messo a valore rendendolo attrattivo per altre categorie di “utenti”, inserito nel circuito economico, per consentire ricadute commerciali. Per questo lo si trasforma in area fitness, con attività sportive di nicchia anche a pagamento. Ma questo programma evidentemente è ostacolato dalle pastoie normative a salvaguardia della biodiversità, degli habitat, di specie ormai rare.
Gli Enti preposti a tutelare l’area sembrano disponibili a togliere dall’imbarazzo i portatori di interessi economici e anche se stessi. Concedere a pascolo l’isolone e permettere l’installazione del “Parco dello Sport” sono degradazioni che probabilmente porteranno il Meisino a perdere le caratteristiche che ne fanno una Zona di Protezione Speciale. In ogni caso, ci sarà molto meno da manutenere e da tutelare.
Quel tratto di argine crollato, ci diranno probabilmente l’AIPO e gli altri Enti, è il motivo per cui, con lungimiranza, abbiamo abbattuto gli alberi, prevedendo il pericolo. L’argine crollato, pensiamo invece noi, è la conseguenza dell’aver eliminato la vegetazione che con le sue radici teneva insieme il terreno. Come abbiamo visto in tanti altri casi, anche tragici, per esempio in varie zone dell’Emilia Romagna. Che cosa seguirà al crollo dell’argine? Probabilmente altro cemento, come l’ennesima colata che si prepara lì alle sue spalle, oppure una finta rinaturalizzazione in tempi incompatibili con i processi naturali. Anche se, nel suo piccolo, questo crollo dimostra che insistere ad andare contro natura porta sempre e solo al disastro.
Comitato Salviamo il Meisino
Assemblea Un altro piano per Torino




prati su cui non si era mai costruito fino ad allora, terreni vergini da sfruttare per una speculazione che interessava una superficie territoriale di 153.000 mq, da strada San Mauro al canale derivatore. Con lo
Nel 2022 una nuova Petizione, per cui in un mese furono raccolte mille firme, chiese di fermare almeno la cementificazione del decimo lotto, di proprietà del Comune. Quello che comprende proprio i due prati di via Fattorelli 81. L’amministrazione (Giunta Lo Russo) ha accolto la richiesta promettendo di prevedere l’inedificabilità dei due terreni nel nuovo Piano Regolatore, anche se per ora non esiste alcun atto approvato che conferma questa decisione.
Proseguendo per alcuni metri lungo via Fattorelli incontriamo la nuova RSA, residenza prestige per anziani, ad elevato standard alberghiero, dal nome “Giardino degli Aironi”. La struttura, pubblicizzata come immersa nel verde e annunciata, al tempo del cantiere, dai tabelloni della campagna Torino 2030 sostenibile e resiliente, ha cancellato l’enorme prato raffigurato sullo striscione che viene srotolato davanti alla recinzione: “La gente veniva a fare merenda, si sedeva, potevi trovare gli animali al pascolo. Ogni volta che giravi l’angolo pensavi: è una meraviglia”.
costruito un piano in più), la RSA si trova a poche centinaia di metri da quelle di via Torre Pellice e di strada San Mauro. “Dalle suite dicono che si scorge la Gran Madre. Ma da qui sotto ora non si vede neanche più Superga”.
Ancora oggi gli abitanti della cascina davanti alla quale la RSA è sorta non hanno accesso al retro della propria casa, che è stata anche gravemente danneggiata durante i lavori.
Un murales ricorda il passato di borgo dei Lavandai. Già dall’inizio dell’800 molte famiglie della zona erano dedite al lavaggio a mano dei panni per la clientela, faticosa attività favorita dalla grande disponibilità d’acqua – grazie alla serie di canali derivati dallo Stura – e dai grandi prati, utilizzati per stendere al sole. Questa attività economica cominciò a sparire con la meccanicizzazione degli anni ’30 e poi, definitivamente, negli anni ’60.
Un passato che viene descritto anche da alcuni pannelli installati dal Comune, che raccontano la storia della “terra di là dal fiume” ma anche gli anni della trasformazione.
Leggiamo: “Il presente e il futuro, Bertolla oggi: un quartiere consapevole del suo passato e legato ad esso, tuttavia disposto anche a cambiare pur nell’assoluto rispetto delle sue antiche peculiarità… In un contesto ambientale ancora particolare e piacevole… E l’intenzione è di fare sempre meglio…!”.
Basta girare lo sguardo per scoprire una realtà ben diversa. La sequenza di edifici costruiti sempre su terreni vergini una decina di anni fa al di là della mini-rotonda è stata realizzata senza che fosse necessaria la variante di Piano, ma semplicemente con lo Studio Unitario d’Ambito, con cui sono state accorpate le aree edificatorie, dopo che la maggior parte dei proprietari aveva dato la disponibilità. Le ditte proponenti firmarono un atto che escludeva la possibilità di rivalersi sul Comune in caso di alluvioni; il Comune era pertanto sollevato da ogni responsabilità avendo avvisato del rischio idrogeologico.
Proseguendo lungo strada di Bertolla incontriamo lo scheletro di un edificio in costruzione, questa volta rientrante nella trasformazione dell’Ambito 6H; il cartellone annuncia: 4 piani, 28 alloggi, consegna prevista per il 2025. Anche in questo caso è stato scelto un nome rassicurante e bucolico: “Condominio Parco degli Aironi”.
diminuiti. Ci fermiamo di fronte all’Isolone, sulla pista ciclopedonale (che fa parte della Venezia-Torino) molto frequentata da ciclisti e pedoni. L’Isolone è diventato tale dalla metà degli anni ‘50, quando fu realizzato il canale derivatore, che prende l’acqua all’altezza della diga del Pascolo e ritorna al Po dopo il salto nelle turbine della centrale idroelettrica.
Il bosco è stato quasi completamente eliminato, sostituito da prati per il pascolo. Si è iniziato con alcuni interventi di diradamento nel 2019, fino ad arrivare, negli anni successivi, alla distruzione quasi completa del bosco. Centinaia di alberi abbattuti, un ecosistema annientato. Senza copertura arborea inoltre l’isola è completamente esposta all’effetto corrosivo delle piene del Po, che inevitabilmente in passato l’hanno allagata.
Arriviamo al ponte della centrale idroelettrica, che è anche un accesso all’isolone.
